LE LAME SCARLATTE
Autore: Rob Himmel
TRAMA
Le Lame Scarlatte ci porta nei vicoli e nei bassifondi di una città dove gilde di assassini e ladri la fanno da padrone. Con un re troppo debole e paranoico per fare davvero qualcosa, le strade sono sempre più teatro delle lotte per il potere delle varie fazioni. In questo clima di violenza e incertezza, un giovane assassino viene incaricato di uccidere Lynx, il più grande assassino del regno, che abbandonò la città dieci anni prima: il tentativo non ha ovviamente successo, ma riesce in quello che pare essere il vero intento del mandante - costringere Lynx a tornare in città.
GIUDIZIO
Purtroppo, questo "lavoro" alle volte è davvero ingrato. Principalmente perché mi fa sembrare un mostro probabilmente, agli occhi di qualcuno che è magari genuinamente convinto di aver scritto un buon libro.
Il mio dovere però - verso i miei lettori, se ce ne sono, e verso chi mi ha chiesto di fare questa recensione - mi impone di essere sincera nei giudizi.
Purtroppo il giudizio su questo libro, nonostante la mia simpatia per il suo autore, non può che essere negativo.
La storia e molte idee alla base non sono neanche male: la città comandata da un sistema di gilde non sarà la più originale delle ambientazioni, ma se gestita bene è sempre un buon palcoscenico per un certo tipo di storie. Mi è piaciuta l'idea delle "bombe" alchemiche, e anche quella di mettere a tutti gli assassini dei nomi che riguardassero il mondo animale.
Il problema è la realizzazione di questa storia, su cui cercherò di far luce senza farvi spoiler sulla trama. O almeno facendone pochi pochi.
Primo problema: miriadi di eventi importanti - sia nella vita del protagonista che nella città - condensati in - 300 pagine circa? E voi direte: cosa c'è di male in questo? Il male c'è nel fatto che il libro risulta una successione di fatti velocissimi, descritti nel minor tempo possibile, senza lasciare spazio per nessun tipo di descrizione e con cambi di scena a dir poco assurdi.
Faccio un esempio, così mi spiego meglio su cosa intendo.
[attenzione, i nomi verranno censurati con nomi di fantasia per non fare spoiler]
"Divincolandosi da Sailor Venus, non prima di essersi concesso l’abbraccio caldo di una donna dal seno prosperoso, si diresse da Ciccio Pasticcio.
«Salve mio buon amico!» salutò Gigio Bagigio con un sorriso da ebete e un inchino goffo."
Sailor Venus e Ciccio Pasticcio, a quanto sappiamo fino a quel momento del romanzo, si trovano in posti completamente diversi della città, e Ciccio Pasticcio per altro è un tipo che non si fa vedere molto in giro e cela sempre la propria identità. Quindi io lettore non so cosa pensare di questo passaggio. Ciccio Pasticcio è da Venus? Se sì, è lì mascherato in qualche modo? E perché Gigio Bagigio lo riconosce se non lo ha mai davvero visto? Nessuno si stupisce che Ciccio Pasticcio sia là come se nulla fosse? O forse - e questa è l'ipotesi più terribile - sono due eventi che accadono in tempi e luoghi diversi e vengono uniti insieme così, a caso, senza un minimo di stacco tra le due scene?
Il secondo problema è che, per quanto si capisca che debba esserci anche un'ambientazione, questa di fatto rimane un segreto gelosamente custodito dal suo autore, che ce ne racconta il meno possibile. C'è la magia, ma credo che la descrizione di come funzioni occupi al massimo 2 righe. C'è stata una guerra (di cui non sappiamo nulla), tra regni (di cui non sappiamo nulla) e per motivi - sì, esatto non sappiamo neanche quelli. C'è un ordine religioso, che da circa metà libro vari personaggi iniziano a nominare come fosse uno dei giocatori in questa - in linea teorica - complessa partita a scacchi per il controllo della città: ecco, un po' ammetto che sapere che religione sia mi sarebbe piaciuto. Questo purtroppo, oltre a non aiutare affatto a capire che succede in questo romanzo, di certo non aiuta il lettore a provare un minimo di interesse per un mondo di cui non sa niente. Che l'autore non gli mostra in alcun modo, se non nei suoi aspetti più banali.
La stessa cosa vale purtroppo per i personaggi. Non sono praticamente descritti, né in un senso né in un altro, se non per alcune caratteristiche base che vengono ripetute alla nausea da altri personaggi che parlano di loro. Ad esempio, c'è un assassino che viene sempre e costantemente descritto come "buono" - lo diranno almeno un centinaio di volte. "Tizio X è buono", "nessuno gli farà mai del male perché è buono", "è famoso per essere buono". Ok, ho capito. Ma invece di far dire ai personaggi ogni due pagine che Tizio X è buono, mostrami una scena in cui me lo fai capire! Magari aggiungici due puttanate in croce di background su di lui in cui si capisce come un tizio BUONO è finito a sgozzare la gente per soldi. Niente. E purtroppo lo stesso vale per tutti i personaggi, compreso il protagonista.
E poi c'è quello che, a mio avviso, è il più grande nemico del pathos: LO SPIEGONE. Avendo pochissimo spazio e tantissime cose che stanno avvenendo da tutte le parti, l'autore spesso ricorre al far raccontare ai personaggi (attraverso dialoghi o pensieri) cosa sta succedendo e perché. L'effetto, ovviamente, è bruttino, perché ammazza qualsiasi tipo di pathos ci fosse nella scena (immaginate lo scontro finale tra due nemici, e uno dei due improvvisamente si mette a fare un lunghissimo monologo in cui spiega - più a noi che al suo avversario - perché sta succedendo una determinata cosa) ed evidenzia ancora di più il fatto che ci siano dei veri e propri buchi nel testo. Non deve venirmi a dire un personaggio X che un personaggio Y ha tradito il suo padrone perché si era stancato di (segue storia infinita del bg di Y): voglio vederlo! Mostrami qualche scena in cui Y interagisce col suo padrone. Fammi vedere Y che - non lo so - digrigna i denti mentre osserva il suo padrone che dà un ordine che non gli piace. Il problema è che in questo libro vediamo solo due cose: combattimenti (quelli almeno fatti bene) e continui dialoghi che servono a spiegare tutto il resto che non ci viene fatto vedere.
Anche la trama presenta purtroppo le stesse ingenuità di ambiente e personaggi. Mi ha fatto abbastanza sorridere - cercando di non fare spoiler - come la creazione di un'intera nuova organizzazione all'interno della città abbia richiesto il tempo record di UNA GIORNATA. Meglio dei corvi dell'ultima stagione di GoT! E lo stesso accade per quasi tutti i grandi eventi politici nel corso della storia: cose che, soprattutto in un contesto che vuol essere realistico, si risolverebbero in guerre civili e interminabili trattative, qui durano massimo un giorno o due e vengono trattate come cose di poco conto, come se bastassero un paio di strette di mano e volere tanto una cosa per detronizzare sovrani e cambiare assetti politici. Per altro, quello che è storicamente di solito uno degli aghi della bilancia in qualsiasi riassetto politico, l'esercito, qui sembra non esistere: non sappiamo chi ne sia a capo, a chi siano fedeli sul serio o per chi parteggino. Li vediamo soltanto quando servono dei personaggi senza nome da far uccidere agli assassini per dimostrare quanto questi siano super mega fighissimissimi.
L'impressione che mi ha dato il tutto è che l'autore avesse un'idea precisa e che volesse trasporla in un romanzo molto adulto, ma si sia scontrato contro un muro. L'idea di un romanzo sugli assassini è bella, ma è lo stesso autore a segarle le gambe. Gli assassini infatti lo sono solo sulla carta, perché nella pratica il romanzo li dipinge come una specie di Robin Hood & co. che combattono contro il malvagio tiranno di turno. Il protagonista è un feroce assassino solo nei racconti dei personaggi intorno a lui, perché nella realtà è semplicemente il solito guerriero che combatte contro il solito potente che gli ha fatto un torto: il suo massimo di cattiveria è uccidere ogni tanto qualche soldato nemico - cosa di cui però si pente sempre e che non vorrebbe essere costretto a fare. Come affossare con le proprie mani un personaggio sulla carta interessante.
Se posso dare un consiglio "letterario" all'autore, penso troverebbe molti spunti per migliorare storia e personaggi leggendo la saga Shadow Dance di David Dalglish. L'ambientazione è molto simile, e anche questa saga segue le vicende di un assassino e le scelte morali atroci che la sua posizione gli impone.
Purtroppo, anche la parte "tecnica" del romanzo avrebbe bisogno di una sistemata generale. L'uso della punteggiatura è spesso sballato - cosa che di certo non aiuta a seguire un romanzo già di per sé fin troppo frenetico. Inoltre, a volte vengono usati termini che nel migliore dei casi suonano semplicemente male, mentre nel peggiore sono proprio sbagliati nel contesto in cui compaiono. Un esempio (perché altrimenti si parla di aria fritta e non ci si capisce): "capitolare per le scale" che probabilmente - immagino - dovesse essere un "capitombolare per le scale" dal momento che, per quanto abbia cercato in vari dizionari, non ho trovato nessun uso di quel verbo con il significato di "cadere"; oppure "azzuffate" che immagino dovessero essere invece "zuffe". E purtroppo non sono pochi i casi di questo tipo che ho trovato.
Per non parlare di quando trovo frasi come "ritornò da dove era venuto, al suo posto, dove si aspettassero che stesse", su cui preferisco sorvolare, che è meglio.
In generale anche sotto questo aspetto si ha la stessa sensazione a cui accennavo prima: il tentativo di gestire qualcosa che non si riesce del tutto a padroneggiare. Abbiamo un linguaggio "sostenuto", ma con tanti, troppi errori, e con delle improvvise cadute in termini ed espressioni colloquiali che appaiono totalmente fuori luogo: non si tratta di personaggi che parlano in modo magari grezzo, ma di frasi che potremmo dire noi al bar che compaiono nel mezzo del classico stile da fantasy eroico. Sentire personaggi - per altro anche di un certo livello culturale - ogni tanto dire cose come "fai sul serio?", "fare scena" o "raddrizzare il tiro" è veramente brutto in un romanzo. Associato a questo, poi, abbiamo il problema contrario: parole fin troppo ricercate rispetto al resto, che quindi finiscono per stonare - quando non vengono proprio usate a sproposito! Ad esempio, è vero che "armeggiare" anticamente significava anche "combattere", ma non l'ho più visto usare in questo senso dai tempi di Boccaccio e buttato in mezzo a una frase che non ha niente altro di "antico" - beh, diciamo solo che non suona troppo bene. Anche il voler usare un verbo arcaico come "ammutire" mi lascia davvero perplessa: se non lo usa più nessuno dalle guerre napoleoniche più o meno un motivo c'è! Un testo o è - per ragioni a me oscure, ma questi sono gusti immagino - completamente sviluppato in un linguaggio arcaico e iper formale o non lo è proprio: non si può scrivere in uno stile diretto e informale e poi, totalmente a caso e in mezzo al nulla, lanciare parole arcaiche come fossero stellette ninja. Da qui dunque la sensazione di uno sforzo da parte dell'autore di mantenere uno stile "alto" senza però aver chiara l'idea di come fare: sforzo apprezzabile, ma su cui c'è ancora MOLTO da lavorare.
Nonostante quello che possiate pensare, a me dispiace essere cattiva, ma non posso ignorare continui, giganteschi errori, uno dietro l'altro, su un libro che si propone come un lavoro professionale, per cui i lettori dovranno spendere del denaro. Praticamente ogni pagina che scorro, mi ritrovo frasi poco chiare, espressioni che non stanno né in cielo né in terra ed errori di ogni tipo. "Anche se in quella zona ne erano di meno" ("ce n'erano"?). "Andarono via via scemandosi" (scemando. Scemando. SCEMANDO). Un "attizzatore" che credo volesse essere un attizzatoio. E potrei andare avanti a lungo, ma credo si sia capito il concetto.
PRO:
-molte idee interessanti
-trama con delle potenzialità
-i combattimenti mi sono piaciuti!
CONTRO:
-tanti, troppi errori tecnici
-troppo breve
-molte ingenuità nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi
Autore: Rob Himmel
TRAMA
Le Lame Scarlatte ci porta nei vicoli e nei bassifondi di una città dove gilde di assassini e ladri la fanno da padrone. Con un re troppo debole e paranoico per fare davvero qualcosa, le strade sono sempre più teatro delle lotte per il potere delle varie fazioni. In questo clima di violenza e incertezza, un giovane assassino viene incaricato di uccidere Lynx, il più grande assassino del regno, che abbandonò la città dieci anni prima: il tentativo non ha ovviamente successo, ma riesce in quello che pare essere il vero intento del mandante - costringere Lynx a tornare in città.
GIUDIZIO
Purtroppo, questo "lavoro" alle volte è davvero ingrato. Principalmente perché mi fa sembrare un mostro probabilmente, agli occhi di qualcuno che è magari genuinamente convinto di aver scritto un buon libro.
Il mio dovere però - verso i miei lettori, se ce ne sono, e verso chi mi ha chiesto di fare questa recensione - mi impone di essere sincera nei giudizi.
Purtroppo il giudizio su questo libro, nonostante la mia simpatia per il suo autore, non può che essere negativo.
La storia e molte idee alla base non sono neanche male: la città comandata da un sistema di gilde non sarà la più originale delle ambientazioni, ma se gestita bene è sempre un buon palcoscenico per un certo tipo di storie. Mi è piaciuta l'idea delle "bombe" alchemiche, e anche quella di mettere a tutti gli assassini dei nomi che riguardassero il mondo animale.
Il problema è la realizzazione di questa storia, su cui cercherò di far luce senza farvi spoiler sulla trama. O almeno facendone pochi pochi.
Primo problema: miriadi di eventi importanti - sia nella vita del protagonista che nella città - condensati in - 300 pagine circa? E voi direte: cosa c'è di male in questo? Il male c'è nel fatto che il libro risulta una successione di fatti velocissimi, descritti nel minor tempo possibile, senza lasciare spazio per nessun tipo di descrizione e con cambi di scena a dir poco assurdi.
Faccio un esempio, così mi spiego meglio su cosa intendo.
[attenzione, i nomi verranno censurati con nomi di fantasia per non fare spoiler]
"Divincolandosi da Sailor Venus, non prima di essersi concesso l’abbraccio caldo di una donna dal seno prosperoso, si diresse da Ciccio Pasticcio.
«Salve mio buon amico!» salutò Gigio Bagigio con un sorriso da ebete e un inchino goffo."
Sailor Venus e Ciccio Pasticcio, a quanto sappiamo fino a quel momento del romanzo, si trovano in posti completamente diversi della città, e Ciccio Pasticcio per altro è un tipo che non si fa vedere molto in giro e cela sempre la propria identità. Quindi io lettore non so cosa pensare di questo passaggio. Ciccio Pasticcio è da Venus? Se sì, è lì mascherato in qualche modo? E perché Gigio Bagigio lo riconosce se non lo ha mai davvero visto? Nessuno si stupisce che Ciccio Pasticcio sia là come se nulla fosse? O forse - e questa è l'ipotesi più terribile - sono due eventi che accadono in tempi e luoghi diversi e vengono uniti insieme così, a caso, senza un minimo di stacco tra le due scene?
Il secondo problema è che, per quanto si capisca che debba esserci anche un'ambientazione, questa di fatto rimane un segreto gelosamente custodito dal suo autore, che ce ne racconta il meno possibile. C'è la magia, ma credo che la descrizione di come funzioni occupi al massimo 2 righe. C'è stata una guerra (di cui non sappiamo nulla), tra regni (di cui non sappiamo nulla) e per motivi - sì, esatto non sappiamo neanche quelli. C'è un ordine religioso, che da circa metà libro vari personaggi iniziano a nominare come fosse uno dei giocatori in questa - in linea teorica - complessa partita a scacchi per il controllo della città: ecco, un po' ammetto che sapere che religione sia mi sarebbe piaciuto. Questo purtroppo, oltre a non aiutare affatto a capire che succede in questo romanzo, di certo non aiuta il lettore a provare un minimo di interesse per un mondo di cui non sa niente. Che l'autore non gli mostra in alcun modo, se non nei suoi aspetti più banali.
La stessa cosa vale purtroppo per i personaggi. Non sono praticamente descritti, né in un senso né in un altro, se non per alcune caratteristiche base che vengono ripetute alla nausea da altri personaggi che parlano di loro. Ad esempio, c'è un assassino che viene sempre e costantemente descritto come "buono" - lo diranno almeno un centinaio di volte. "Tizio X è buono", "nessuno gli farà mai del male perché è buono", "è famoso per essere buono". Ok, ho capito. Ma invece di far dire ai personaggi ogni due pagine che Tizio X è buono, mostrami una scena in cui me lo fai capire! Magari aggiungici due puttanate in croce di background su di lui in cui si capisce come un tizio BUONO è finito a sgozzare la gente per soldi. Niente. E purtroppo lo stesso vale per tutti i personaggi, compreso il protagonista.
E poi c'è quello che, a mio avviso, è il più grande nemico del pathos: LO SPIEGONE. Avendo pochissimo spazio e tantissime cose che stanno avvenendo da tutte le parti, l'autore spesso ricorre al far raccontare ai personaggi (attraverso dialoghi o pensieri) cosa sta succedendo e perché. L'effetto, ovviamente, è bruttino, perché ammazza qualsiasi tipo di pathos ci fosse nella scena (immaginate lo scontro finale tra due nemici, e uno dei due improvvisamente si mette a fare un lunghissimo monologo in cui spiega - più a noi che al suo avversario - perché sta succedendo una determinata cosa) ed evidenzia ancora di più il fatto che ci siano dei veri e propri buchi nel testo. Non deve venirmi a dire un personaggio X che un personaggio Y ha tradito il suo padrone perché si era stancato di (segue storia infinita del bg di Y): voglio vederlo! Mostrami qualche scena in cui Y interagisce col suo padrone. Fammi vedere Y che - non lo so - digrigna i denti mentre osserva il suo padrone che dà un ordine che non gli piace. Il problema è che in questo libro vediamo solo due cose: combattimenti (quelli almeno fatti bene) e continui dialoghi che servono a spiegare tutto il resto che non ci viene fatto vedere.
Anche la trama presenta purtroppo le stesse ingenuità di ambiente e personaggi. Mi ha fatto abbastanza sorridere - cercando di non fare spoiler - come la creazione di un'intera nuova organizzazione all'interno della città abbia richiesto il tempo record di UNA GIORNATA. Meglio dei corvi dell'ultima stagione di GoT! E lo stesso accade per quasi tutti i grandi eventi politici nel corso della storia: cose che, soprattutto in un contesto che vuol essere realistico, si risolverebbero in guerre civili e interminabili trattative, qui durano massimo un giorno o due e vengono trattate come cose di poco conto, come se bastassero un paio di strette di mano e volere tanto una cosa per detronizzare sovrani e cambiare assetti politici. Per altro, quello che è storicamente di solito uno degli aghi della bilancia in qualsiasi riassetto politico, l'esercito, qui sembra non esistere: non sappiamo chi ne sia a capo, a chi siano fedeli sul serio o per chi parteggino. Li vediamo soltanto quando servono dei personaggi senza nome da far uccidere agli assassini per dimostrare quanto questi siano super mega fighissimissimi.
L'impressione che mi ha dato il tutto è che l'autore avesse un'idea precisa e che volesse trasporla in un romanzo molto adulto, ma si sia scontrato contro un muro. L'idea di un romanzo sugli assassini è bella, ma è lo stesso autore a segarle le gambe. Gli assassini infatti lo sono solo sulla carta, perché nella pratica il romanzo li dipinge come una specie di Robin Hood & co. che combattono contro il malvagio tiranno di turno. Il protagonista è un feroce assassino solo nei racconti dei personaggi intorno a lui, perché nella realtà è semplicemente il solito guerriero che combatte contro il solito potente che gli ha fatto un torto: il suo massimo di cattiveria è uccidere ogni tanto qualche soldato nemico - cosa di cui però si pente sempre e che non vorrebbe essere costretto a fare. Come affossare con le proprie mani un personaggio sulla carta interessante.
Se posso dare un consiglio "letterario" all'autore, penso troverebbe molti spunti per migliorare storia e personaggi leggendo la saga Shadow Dance di David Dalglish. L'ambientazione è molto simile, e anche questa saga segue le vicende di un assassino e le scelte morali atroci che la sua posizione gli impone.
Purtroppo, anche la parte "tecnica" del romanzo avrebbe bisogno di una sistemata generale. L'uso della punteggiatura è spesso sballato - cosa che di certo non aiuta a seguire un romanzo già di per sé fin troppo frenetico. Inoltre, a volte vengono usati termini che nel migliore dei casi suonano semplicemente male, mentre nel peggiore sono proprio sbagliati nel contesto in cui compaiono. Un esempio (perché altrimenti si parla di aria fritta e non ci si capisce): "capitolare per le scale" che probabilmente - immagino - dovesse essere un "capitombolare per le scale" dal momento che, per quanto abbia cercato in vari dizionari, non ho trovato nessun uso di quel verbo con il significato di "cadere"; oppure "azzuffate" che immagino dovessero essere invece "zuffe". E purtroppo non sono pochi i casi di questo tipo che ho trovato.
Per non parlare di quando trovo frasi come "ritornò da dove era venuto, al suo posto, dove si aspettassero che stesse", su cui preferisco sorvolare, che è meglio.
In generale anche sotto questo aspetto si ha la stessa sensazione a cui accennavo prima: il tentativo di gestire qualcosa che non si riesce del tutto a padroneggiare. Abbiamo un linguaggio "sostenuto", ma con tanti, troppi errori, e con delle improvvise cadute in termini ed espressioni colloquiali che appaiono totalmente fuori luogo: non si tratta di personaggi che parlano in modo magari grezzo, ma di frasi che potremmo dire noi al bar che compaiono nel mezzo del classico stile da fantasy eroico. Sentire personaggi - per altro anche di un certo livello culturale - ogni tanto dire cose come "fai sul serio?", "fare scena" o "raddrizzare il tiro" è veramente brutto in un romanzo. Associato a questo, poi, abbiamo il problema contrario: parole fin troppo ricercate rispetto al resto, che quindi finiscono per stonare - quando non vengono proprio usate a sproposito! Ad esempio, è vero che "armeggiare" anticamente significava anche "combattere", ma non l'ho più visto usare in questo senso dai tempi di Boccaccio e buttato in mezzo a una frase che non ha niente altro di "antico" - beh, diciamo solo che non suona troppo bene. Anche il voler usare un verbo arcaico come "ammutire" mi lascia davvero perplessa: se non lo usa più nessuno dalle guerre napoleoniche più o meno un motivo c'è! Un testo o è - per ragioni a me oscure, ma questi sono gusti immagino - completamente sviluppato in un linguaggio arcaico e iper formale o non lo è proprio: non si può scrivere in uno stile diretto e informale e poi, totalmente a caso e in mezzo al nulla, lanciare parole arcaiche come fossero stellette ninja. Da qui dunque la sensazione di uno sforzo da parte dell'autore di mantenere uno stile "alto" senza però aver chiara l'idea di come fare: sforzo apprezzabile, ma su cui c'è ancora MOLTO da lavorare.
Nonostante quello che possiate pensare, a me dispiace essere cattiva, ma non posso ignorare continui, giganteschi errori, uno dietro l'altro, su un libro che si propone come un lavoro professionale, per cui i lettori dovranno spendere del denaro. Praticamente ogni pagina che scorro, mi ritrovo frasi poco chiare, espressioni che non stanno né in cielo né in terra ed errori di ogni tipo. "Anche se in quella zona ne erano di meno" ("ce n'erano"?). "Andarono via via scemandosi" (scemando. Scemando. SCEMANDO). Un "attizzatore" che credo volesse essere un attizzatoio. E potrei andare avanti a lungo, ma credo si sia capito il concetto.
PRO:
-molte idee interessanti
-trama con delle potenzialità
-i combattimenti mi sono piaciuti!
CONTRO:
-tanti, troppi errori tecnici
-troppo breve
-molte ingenuità nella trama e nella caratterizzazione dei personaggi
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